Ci sono termini specifici per definire le mamme che fanno parte di un rapporto di adozione. A volte mi soffermo a pensare a quanto questa terminologia sia corretta in principio, ma sbagliata in intenzioni. Infatti, spesso quello che il termine descrive è restrittivo, burocratico, e a volte perfino offensivo.
Se è vero che il linguaggio modella il pensiero, diventa importante fare attenzione ai termini che utilizziamo nel parlare, soprattutto la terminologia che utilizziamo con i nostri figli, perché questa condizionerà la maniera in cui pensano e, a lungo andare, come si rapportano verso se stessi, gli altri, la loro identità ed il loro passato.
Mamma adottiva:
Mamma adottiva è come vengo chiamata dalla maggior parte delle persone. Legalmente e giuridicamente lo sono, lo dice anche il certificato di nascita di mio figlio. Ma a che scopo viene aggiunta la parola adottiva? A cosa serve? È come se mi presentassi come Laura dagli occhi blu, oppure Laura la bassa.
Mi sento una mamma non diversa da nessun’altra mamma. Essere adottiva è solo uno stato di fatto, non una mia intrinseca caratteristica che mi contraddistingue per merito o demerito da altre mamme. Quando vengo chiamata mamma adottiva mi sento diversa dalle altre mamme, come se ci fosse un muro invisibile che ci separa, ed indirettamente che separa mio figlio dagli altri figli. Adottiva diventa quindi un opinione su di me, un giudizio, una valutazione su di una mia caratteristica, della quale neppure sono consapevole e che, dal mio punto di vista, non mi definisce.
Mamma di pancia:
Mamma di pancia è una delle definizioni che più mi infastidisce quando si parla di adozione. La terminologia fa pensare che la mamma di pancia sia solo un contenitore, come un fornetto a micro-onde, dove un bambino è rimasto per 9 mesi per poi uscire ed interrompere ogni rapporto.
È un termine che non considera affatto il profondo legame pre-natale che si instaura tra mamma e figlio, come ad indicare che questo rapporto viene immediatamente cancellato con la nascita per fare spazio alla prossima mamma. Attraverso i recenti studi sappiamo però bene che questo rapporto è molto importante e forte, e non si interrompe dopo la nascita. Anzi, questo strappo, questa separazione, provoca una ferita profonda nei nostri bambini che, come genitori, dobbiamo saper riconoscere e aiutare a rimarginare.
Mamma di cuore:
La mamma di cuore, quella che non condivide il DNA del suo bambino, che non lo ha portato in grembo, che è una mamma diversa perché mossa solo da emozioni. Rifiuto di definirmi mamma di cuore. Certo, le emozioni sono fondametali in ogni rapporto, ma io sono molto di più.
Mio figlio parla come me, nei suoi gesti vedo i miei gesti, nei suoi gusti riconosco i miei. Non è solo la mera biologia che crea rapporti di appartenenza, ma non credo lo sia il solo rapporto di cuore. Io e mio figlio abbiamo un DNA diverso, ma ci sentiamo simili, perché stiamo crescendo insieme e stiamo condividendo una vita insieme.
Il nostro rapporto di cuore si fonde a quello di un rapporto di condivisione, di famiglia, che ci accomuna in una maniera molto simile a quello che unisce genitori e figli che hanno lo stesso bagaglio genetico.
Mamma biologica:
Non diversa dalla mamma di pancia, ma questa mamma condivide caratteristiche genetiche e caratteriali. Nuovamente, con un termine restrittivo come biologica, viene negata l’importanza della relazione mamma-bambino, riducendo questa figura ad una semplice dispensatrice di colore degli occhi o dei capelli.
Ma queste mamme custodiscono una parte importante di chi sono i nostri figli, hanno la chiave per comprendere le loro origini, e hanno una parte fondamentale nel formare loro il senso di identità. Non credo sia possibile dedicarsi al futuro se prima non si comprende il passato, da dove veniamo e chi siamo. Queste mamme sono emozioni, sentimenti, istinto, sono la parte più primordiale dei nostri bambini, ed è semplicistico relegarle al ruolo di semplici mamme biologiche.
Riflessione finale:
Terminologie simili a quelle elencate vengono usate anche per i papà dell’adozione. Io credo che siamo tutte mamme, e siamo tutti papà. Alcuni di noi sono arrivati prima, altri dopo. Alcuni si fermeranno nella vita dei figli a lungo, ed altri meno. Ma tutti abbiamo un’importanza ed un ruolo che va oltre al restrittivo significato di un termine.
Usare parole più inclusive significa crescere bambini più sicuri in sé stessi, più consapevoli della continuità della loro storia, e figli che sapranno che, anche nelle situazioni più estreme, sono stati amati da ogni genitore che hanno avuto nella loro vita.
Quali termini usate quando parlate ai vostri bambini? Cosa pensate di definizioni come Mamma di Cuore, oppure Mamma di Pancia?
Spero di leggere i vostri commenti e confrontarci su questo tema delicato che tocca tutti noi.