Io e Diego non abbiamo altro che elogi per la famiglia di affido di Ben. Infatti, siamo ancora in ottimi rapporti con loro, ci incontriamo ogni volta che torniamo in Inghilterra, e ci sentiamo per telefono molto spesso. A tutti gli effetti, sono parte della nostra famiglia, come dei nonni o degli zii, e il loro aiuto e amore è ineguagliabile.  

Tuttavia, non tutte le famiglie adottive hanno un buon rapporto con le famiglie di affido dei propri figli, e spesso non vedono l’ora di distanziarsi, e tagliare tutti i ponti.

Può essere difficile creare un legame affettivo con un bambino che entra a far parte della nostra famiglia tramite adozione, e forse temiamo che l’interferenza della precedente famiglia affidataria sia d’intralcio, un ostacolo a questo nuovo rapporto che è inizialmente molto fragile.

Le famiglie di affido fanno un magnifico lavoro nel crescere quelli che un giorno diventeranno i nostri bambini, e lo fanno pur sapendo il dolore che proveranno, misto a gioia, il giorno in cui dovranno lasciarli. Nonostante ciò, perseverano nel loro impegno, ed accolgono a braccia aperte ogni nuovo affido. La loro forza, arriva dalla consapevolezza che ad un certo punto il loro amore significava il mondo per un bambino.

Durante i corsi di pre-adozione, io e Diego abbiamo partecipato a molti seminari e moltissimi giochi didattici, alcuni dei quali sembravano però fini a se stessi. Ma uno dei giochi ha lasciato un segno profondo in noi per la semplicità attraverso la quale riusciva a spiegare un concetto complesso come il bagaglio affettivo dei nostri bambini.

Il gioco si chiama l’esercizio del secchio d’acqua.

L’esercizio del secchio d’acqua è un’attività pensata ad aiutare i bambini a capire il tempo, e dare un senso alla propria identità, ma credo che aiuti anche noi genitori adottivi a capire cosa succede nella vita affettiva dei nostri figli. 

Per eseguire l’esercizio, è necessario un secchio grande, come ad esempio un catino per bucato, una brocca e tanta acqua.

L’adulto, ossia il genitore adottivo, si immedesima nei panni del bambino, e ripercorre gli anni precedenti, immaginando come potrebbe essere stata la vita del bambino prima di essere adottato.

Il bambino, per esempio, potrebbe aver trascorso due o tre anni con la sua famiglia biologica. Quindi, per ogni anno trascorso, il  genitore adottivo riempie una brocca d’acqua, e la versa nel secchio. 

Una volta rimosso dalla sua famiglia biologica, il bambino potrebbe essere stato affidato ad una famiglia affidataria di emergenza per alcune settimane o qualche mese. In questo caso, il genitore adottivo riempie solo metà della brocca, e la versa nel secchio. 

Poi è il turno della famiglia di affido con cui il bambino ha trascorso il periodo successivo, magari lungo diversi anni, in attesa dell’adozione. Di nuovo, il  genitore adottivo riempie una brocca d’acqua per ogni anno in cui il bambino è rimasto in affido, e la versa nel secchio.

L’esercizio continua, brocca dopo brocca, fino ai giorni presenti, ossia la finalizzazione dell’adozione. 

A questo punto, indicando l’acqua nel secchio, vi viene chiesto: “Puoi dirmi quale acqua appartiene a quale momento della tua vita?”.

Impossibile da dire, vero? 

Nell’adozione, amore e perdita sono parti uguali della stessa equazione.

L’esercizio illustra in maniera semplice una delle tante realtà dell’adozione: il bambino che hai adottato, o che stai per adottare, è il prodotto di tutte le persone che sono state importanti durante tutta la sua vita. 

Tu, come genitore adottivo, sei fortunato perché sei la persona che sarà al suo fianco a guardare il secchio riempirsi fino all’orlo. Ma il tempo trascorso con tutte le altre persone sarà sempre presente, e sarà sempre importante.