Puoi leggere questo articolo ascoltando:
Nelle ultime settimane internet e’ tappezzata dalla storia di una famiglia di influencers che ha adottato un bambino per poi, dopo 3 anni, darlo nuovamente in adozione. Internet, così come molti gruppi di adozione su Facebook, sono altrettanto rigogliosi di critiche, insulti e giudizi sulla vicenda.
Non conosco i dettagli di quanto sia successo a questa famiglia, e non voglio credere a quelli pubblicati dai mass media perché studiati solo per provocare una reazione pubblica, e distorti per far scalpore.
Per questo motivo, questo mio articolo non vuole essere un mio giudizio su quello che è accaduto, ma solo lo spunto da cui partire per parlare di un aspetto tragico dell’adozione, avvolto da un pesante velo di vergogna, da molti tabù, e dal vasto disaccordo pubblico: la fine di un’adozione.
Anni fa, quando ancora abitavo in Inghilterra, ho conosciuto su Twitter Claire, una donna che aveva adottato un figlio e che, a distanza di due anni, aveva preso la difficilissima scelta di interrompere l’adozione e trovare una nuova famiglia per suo figlio.
In quel periodo, la mia vita era molto complicata e frenetica. Infatti, oltre ad avere adottato Ben da già 3 anni, eravamo anche una famiglia di affido e da circa un anno una bellissima bimba abitava con noi. Era un affido molto difficile, i miei giorni erano governati dalle estreme emozioni di questa bimba, dalla sua rabbia e violenza, dal suo rifiuto costante, e dalla sua imprevedibilità emotiva. Mi sentivo svuotata di ogni energia, emotivamente sterile, incapace di controllare le situazioni e di immaginare un futuro migliore.
Per un anno e mezzo ho tenuto duro, ho provato a migliorare la situazione, a chiedere aiuto ai servizi sociali, e contemporaneamente cercato di offrire a mio figlio Ben una casa serena dove crescere. Infine mi sono dovuta rassegnare a prendere l’unica scelta possibile, l’unica decisione che avrebbe salvaguardato la mia famiglia, ma anche la felicità di quella bimba che avevamo in affido: chiedere ai servizi sociali di trovare una nuova sistemazione per lei.
Claire, quella donna conosciuta per caso su Twitter, capiva benissimo la mia sofferenza, comprendeva cosa provavo e le difficoltà che stavo vivendo. In lei ho trovato aiuto e, attraverso il racconto della sua esperienza, ho imparato ad accettare la mia scelta e a superare i sensi di colpa.
I corsi di formazione pre-adozione non preparano all’eventualità che un adozione possa terminare, che possa rompersi. Non per questo significa che questa realtà non esista.
Ricordo che Claire diceva che a lei sarebbe piaciuto sostituire la definizione di Famiglia-Per-Sempre con Famiglia-In-Costruzione. C’è una forte pressione, un obbligo, a dover far funzionare la nuova famiglia a tutti i costi, e questo vale sia per i genitori che per i figli. Il processo di preparazione all’adozione e di ottenimento dell’idoneità è un percorso difficile ed impegnativo. Contemporaneamente, i bambini aspettano per lunghi periodi in situazioni precarie di essere adottati. Ma tutto questo a volte risulta essere nulla se paragonato alle difficoltà di costruire una famiglia, genitori e figli insieme, dove le aspettative sono quelle di perfetta armonia ed eterno amore.
Nel caso di Claire, non è stato possibile riuscire a creare una famiglia con un bambino con una diagnosi di attaccamento disorganizzato. Una diagnosi di cui non era al corrente prima dell’adozione, di cui non sapeva gestire i disturbi psicologici e dissociazione patologica, e per la quale aveva limitato aiuto da parte di professionisti. La decisione che ha preso è stata straziante e dolorosa, ma anche necessaria per salvaguardare sia lei stessa, che suo figlio.
Ma le conseguenze di quella scelta non si sono fermate al momento della scelta stessa. Infatti, oltre al dolore, ai sensi di colpa, alla perdita di un figlio, si è aggiunto lo stigma sociale. Si rimane soli, isolati, giudicati, ed accusati. Claire ha perso amici e famigliari, ha sofferto di depressione come conseguenza di quella rottura, è diventata ansiosa ed ha spesso crisi di panico.
Lo stigma sociale si estende anche i bambini che vengono etichettati come difficili, problematici, ingestibili. Quando questa visione negativa si estende anche alla scuola o agli amici, i bambini crescono con scarsa stima in se stessi ed emarginati, e diventa quasi impossibile per loro integrarsi in una nuova famiglia, rischiando così di crescere in un istituto o essere rimbalzati da un affido ad un altro.
Ci sono molte ragioni per cui un’adozione finisce: mancanza di supporto emotivo e sociale, condizioni mediche che rimangono senza diagnosi per anni, o per le quali non si hanno gli strumenti o le abilità per gestirle in maniera efficace, mancanza di terapie fisiche o psicologiche per il bambino, false accuse fatte da scuola, vicini di casa, o dal bambino stesso, che possono perfino sfociare nel coinvolgimento della polizia. A volte subentrano problemi di violenza, droga, atti illegali, o la necessità di salvaguardare altri minori nel gruppo famigliare.
L’elenco potrebbe continuare all’infinito. Molto spesso non è una sola di queste ragioni che porta alla rottura di una famiglia e alla fine di un’adozione, ma molteplici motivi che si alimentano a vicenda.
Tornando alla vicenda della coppia di influencers, non me la sento di giudicare la loro scelta. Credo però sia importante parlare di interruzione dell’adozione perché, per quanto scomoda e difficile, è una delle realtà dell’adozione e va insegnata, discussa, considerata e capita.
Per quei genitori e figli che la stanno vivendo, è importante sapere che non sono soli, che non verranno giudicati, e che possono confidare in una società che li appoggia ed aiuta.
Noi che conosciamo l’adozione da vicino dobbiamo impegnarci a cambiare la narrativa ed imparare ad accettare anche chi prende scelte che, a noi Famiglie-Per-Sempre, sembrano impossibili.
Qual’è la vostra opinione rigardo la fine di un’adozione? Conoscete qualcuno che l’ha vissuta? O magari è quello che state passando? Lasciatemi un commento e fatemi sapere cosa ne pensate.